Lo spazio vuoto
- laura laterza
- 26 giu 2024
- Tempo di lettura: 2 min
Aggiornamento: 10 lug 2024
Posso prendere un qualsiasi spazio vuoto e chiamarlo palcoscenico vuoto. Un uomo
attraversa questo spazio vuoto mentre qualcun altro lo guarda e questo è tutto ciò di cui
ho bisogno perché si inizi un atto teatrale
Peter Brook
Durante le prove del monologo “Le parole di Drina” nel 2021 ho vissuto un’esperienza
unica che mi ha cambiato totalmente il modo di stare in scena. Una volta tolti gli oggetti
che utilizzavamo prima del lockdown, dopo un anno circa, mi sono ritrovata a lavorare lo
stesso testo senza alcuna scenografia a tu per tu con lo spazio vuoto. …
Il terrore di riempire lo spazio da sola , senza oggetti mi faceva sentire inadeguata…
durante le prime prove spesso vagavo, cercavo di riempire lo spazio con qualche
movimento oppure nel centro della scena sul pubblico immaginario, ma tutto appariva
talmente scoordinato senza organicità e senza senso! Perché stare in scena e non
sapere COSA FARE spaventa. Mi riconosco spesso in affermazioni tipo: “una gran parte
delle nostre manifestazioni eccessive o superflue nasce dal terrore che, se non
segnaliamo continuamente la nostra esistenza, in realtà non ci saremo più” (Brook cit).
Sempre quel maledetto bisogno di farsi notare altrimenti non esisti.
Ma quanti danni fanno i nostri pensieri, preconcetti, le nostre idee, il nostro eccessivo
ragionamento? Perché non fidarsi e rischiare? Andare oltre? Quando siamo troppo
intelligenti in scena la vita subito scompare. Più libero lo spazio dentro di me, più autentico
sarà il mio atto creativo che andrà a riempire lo spazio vuoto. Ma per questo occorre
rischiare, essere elastici e soprattutto coraggiosi.

Ed è questa, secondo Brook, l’abilità più grande: “quella di riconoscere di poter
essere totalmente lì, nello spazio vuoto, apparentemente senza fare niente”.
Durante le prove del monologo, Claudio Orlandini, regista dello spettacolo, mi ha aiutata
passo passo ad entrare nello spazio vuoto con tutto il mio corpo, la bellezza e l’incisività di
ogni mio movimento, delle mani, delle singole dita, delle gambe, delle ginocchia, dei miei
passi e del mio respiro, con la fiducia che rischiando avrei trovato delle possibilità, che con
il mio corpo e il mio sguardo avrei ricreato luoghi e personaggi del mio racconto.
Da quel momento non sono mai più stata da sola e non ho avuto più paura.
Oggi mi approccio al lavoro teatrale in maniera diversa, forse ancora un po'; sbagliata ma sicuramente più autentica.
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